ROMA – L’arrivo a Civitavecchia di Francesco Maria Di Majo è stato pianificato con cura da un pezzo di Partito Democratico, che dopo la parentesi del mandato dell’ex assessore regionale e deputato Fabio Ciani, voleva rimettere le mani sul porto di Roma.
I motivi inizialmente erano i più svariati: c’erano Pietro e Marietta Tidei che volevano vendicarsi di Pasqualino Monti, principale indiziato, a loro avviso, per avere orchestrato la caduta della giunta Tidei, c’era lo stesso Fabio Ciani che pure voleva prendersi una rivincita nei confronti dello stesso Monti, che prese il suo posto alla guida del porto, c’era il giglio magico che aveva la doppia opportunità di prendere il porto di Roma e di favorire il rilancio di Livorno. Serviva una figura nuova e spendibile per far fuori Monti, in quel momento presidente di Assoporti, azzoppato da gossip e veleni, ma sorretto ancora dai numeri del porto positivi e dai poteri economici che in lui vedevano un interlocutore affidabile.
Dal cilindro uscì il nome di Di Majo, figlio di un luminare del diritto, amico di tanti potenti, e dal curriculum che sembrava fatto apposta per quel posto. E forse lo era, almeno in parte, in senso letterale: sulla veridicità di tutti gli incarichi e le esperienze precedenti dichiarati da Di Majo al momento di essere nominato dall’ignaro ministro Graziano Delrio sarebbe opportuna una nuova verifica, alla luce di quanto sarebbe emerso nelle scorse settimane sulla scorta di alcuni articoli di stampa.
In attesa di scoprire se i vizi nel caso della nomina di Di Majo fossero “ab origine”, quanto emerge sul primo anno e mezzo di presidenza stride fortemente con le pagelle positive che il MIT si starebbe preparando a dare, elargendo al presidente-avvocato i 60.000 euro di premi previsti dalla nuova normativa.
Come si diceva nelle puntate precedenti dell’inchiesta sulle banchine del porto di Roma, essendo assolutamente inesperto nel navigare i mari della politica romana, Di Majo si affidò fin dall’inizio al suo amico Ivan Magri, un esperto del lavoro, più o meno sporco, dietro le quinte. Nei mesi antecedenti la nomina, Magri lo ha portato da tutti quelli che avrebbero potuto contare per far sedere Francesco Maria sulla poltrona più alta di Scalo Vespucci.
La tela abilmente intessuta da Magri spaziava dalla destra, con l’ex presidente del porto e sindaco di Civitavecchia Giovanni Moscherini, delegato nazionale ai porti di Forza Italia e con il dente avvelenato nei confronti di Pasqualino Monti, al punto che entrambi sono finiti in vicende giudiziarie legate al porto, fino a tutta l’area dem, con sostegni eccellenti, arrivando addirittura al Presidente della Repubblica emerito Giorgio Napolitano. Una macchina da guerra che ha centrato il suo obiettivo, avvalendosi anche di compagni di viaggio scomodi, poi definiti “impresentabili” ed eliminati il giorno dopo essere arrivati a meta, come il giornalista di estrema destra Paolo Gianlorenzo, ex braccio (destro, ovviamente) dell’editore Giuseppe Ciarrapico, direttore del sito Etrurianews.it, tra i principali artefici con le sue campagne senza esclusioni di colpi, delle dimissioni di Monti da commissario del porto.
Alla luce di queste premesse, lo stesso Gianlorenzo oggi appare piuttosto credibile quando pubblica email scritte dall’Austria (luogo di vacanza preferito dallo stesso Di Majo) o fimate da Magri, che davano indicazioni precise su come colpire mediaticamente Pasqualino Monti. Il complotto,dunque,c’era. E se, volendo escludere la testimonianza di Gianlorenzo, potrebbe mancare la “pistola fumante” in mano a Di Majo, lasciando “solo” Ivan Magri a premere il grilletto per far fuori il precedente presidente, quello che accade dopo coinvolge senza ombra di dubbio l’attuale vertice dell’Autorità Portuale, nella persona del presidente.
Il giorno successivo alla nomina di Di Majo, infatti, Magri “passa all’incasso”. Vengono preparati in pochi giorni due bandi per assumere a Scalo Vespucci un direttore amministrativo, visto che Monti non si è dimesso dal suo posto di lavoro, ma è in aspettativa (nei mesi successivi sarà poi nominato presidente a Palermo) e un capo della segreteria del presidente. Gianlorenzo grida subito alla “pastetta”annunciando i nomi dei due “prescelti” per vincere le selezioni. Paolo Risso (che infatti diventerà dirigente a tempo determinato) e Ivan Magrì. Di Majo si spaventa e ritira il bando.
Nel frattempo Magri, ufficialmente disoccupato, deve pur sbarcare il lunario.
E Di Majo, riconoscente, fa le telefonate e le raccomandazioni che oggi potrebbero inguaiarlo non poco: prima contatta l’allora direttore della sede di Civitavecchia della banca tesoriera dell’Autorità Portuale, chiedendo un fido per Magri e “garantendo” che di lì a poco avrebbe avuto anche lui uno stipendio dall’ente.
Poi, nei mesi successivi, quando era ormai chiaro che Magri non avrebbe messo piede nel palazzo di Scalo Vespucci, fa la telefonata che non avrebbe dovuto fare ad un imprenditore molto ascoltato come il titolare dello studio di ingegneria VAMS Niccolò Saraca, che si è aggiudicato, insieme a Modimar,la progettazione del secondo lotto delle cosiddette opere strtegiche del porto di Civitavecchia.
E non è certo una coincidenza se dopo qualche giorno Ivan Magri diventa consulente di VAMS e Modimar, essendo chiamato ad occuparsi per la prima azienda, dell’area di Fiumaretta. Si quella di cui abbiamo già parlato, di proprietà del Comune di Civitavecchia, in cui la SGR di Scaroni vorrebbe trovare investitori per realizzare un albergo a cinque stelle, tra il porto, il cimitero, il carcere ed il depuratore della città, un outlet ed il nodo di scambio dei passeggeri. Resta un mistero su quali aspetti progettuali un grande studio di ingegneria dovrebbe farsi supportare da un laureato in Scienze Politiche come Magri, riconoscendogli, come Modimar, un compenso importante. Fatto sta che Magri si mette all’opera e in pochi mesi cambia il volto dell’area: niente più albergo (che “ritrova” collocazione nel porto storico, secondo quanto era previsto nei progetti precedenti), ma solo l’outlet. Il nodo di scambio? Non è chiaro, dipenderà dal Comune.
Evidentemente l’ambiente portuale e l’amicizia con il presidente sbandierata a tutti i tavoli e in tutte le telefonate, fanno bene alla carriera di Magri. Che in poco tempo esibisce biglietti da visita per incarichi e consulenze di ogni genere. Si aggiunge infatti anche la Elitaliana tra le aziende che vogliono a tutti i costi avvalersi dei servigi di Magri, che si presenta anche dalle suore di un ospizio ospitato ai confini del porto, per dire che le care sorelle, e i cari vecchietti, devono sloggiare, almeno da parte della struttura. Quell’area serve per fare atterrare gli elicotteri e realizzare un punto di soccorso e non solo, di eccellenza. E Magri è talmente forte che la revoca della concessione demaniale alle suore, che era stata ipotizzata nei mesi precedenti per altre problematiche e poi ritirata su invito del Comune, torna nuovamente in ballo nonostante gli strali del Consigliere di Amministrazione del Sindaco nominato nel Comitato di Gestione portuale.
Ma Magri non si ferma di fronte a nulla. Nei suoi alti e bassi il potentissimo “influencer” ripesca il suo antico mentore Giovanni Moscherini, che nel frattempo aveva contribuito a far perdere nelle elezioni di Tarquinia, e lo riporta nelle grazie presidenziali di Di Majo, per un affare sul gas (vedasi la puntata precedente dell’inchiesta) e soprattutto per sfruttare la sua vecchia amicizia con un’altra potenza del porto, conosciuto in tutta Italia anche grazie a grandi aziende facenti riferimento a lui come Castalia, leader nelle bonifiche marine e nell’antinquinamento: il comandante Barone.
Proprio Barone, con Moscherini, era stato protagonista di uno dei consorzi che avanzarono proposte al Governo per la demolizione della Concordia. E proprio Di Majo fece da consulente legale, in materia ambientale, a quel consorzio, che poi come noto non riuscì a far approdare il relitto della nave della Costa Crociere a Civitavecchia. Il pallino dello smantellamento dei relitti è però rimasto e in effetti può essere un’ottima fonte di lavoro. Al punto che la “diplomazia” portuale si mette subito al lavoro. E si crea in poco tempo un rapporto talmente saldo con l’uomo di Di Majo, che quest’ultimo a dicembre, diventa addirittura presidente del Cda di una delle aziende storiche della famiglia Barone, la TMA.
Lo scrisse il solito Gianlorenzo:
La denuncia fatta a IdeaRadio dal candidato di Fratelli d’Italia Stefano D’Angelo ci ha spinto ad approfondire il perché della richiesta di dimissioni del presidente Di Majo e del nuovo affaire di Ivan Magrì.
Non solo è diventato consulente della società di elicotteri di Tarquinia (oltre allo stipendio, telefono e prebende varie) ma anche della V.A.M.S. e, come se non bastasse, nel periodo di Natale dello scorso anno, questo emerito sconosciuto nel mondo della portualità civitavecchiese (se non per il business ultra milionario che voleva fare con la Concordia) è diventato presidente della società denominata “Tecnologie Marine” (intanto guardate la sua posizione ufficiale sui documenti pubblici della Camera di Commercio):
Dunque, la Tecnologie Marine, con socio unico Naval Service, lo nomina presidente del consiglio d’amministrazione (guarda la visura):
Che caspiterina c’azzecca, direbbe Antonio Di Pietro, l’ex consulente di tutte le corti civitavecchiesi da De Sio alla SePort in una società di tecnologie marine?
La domanda la vogliamo porre proprio alla Procura della Repubblica di Civitavecchia.
Sarebbe interessante sapere, infatti, che progetti o richieste sono state protocollate da queste società all’AdSP!
C’è puzza di bruciato e, soprattutto, di un leggerissimo olezzo di comportamenti contra legem che potrebbero configurare reati gravissimi.
Non possiamo credere, non vogliamo credere a quanto dicono dall’interno di Molo Vespucci e cioè che una di queste due società ha proposto di realizzare il Bacino di Carenaggio nella Darsena Servizi. Sia mai una cosa del genere.
Dunque, riteniamo che le dichiarazioni di Stefano D’Angelo fatte qualche giorno fa in radio, dove chiedeva le dimissioni del presidente Francesco Maria Di Majo, facessero riferimento proprio a questo caso.
Per commettere reati come la corruzione o la concussione basta la promessa mica serve necessariamente un passaggio di denaro che può comunque essere “mascherato” attraverso sostanziose consulenze ad personam!
Staremo a vedere. Anzi no! Continueremo a cercare le carte e, soprattutto, cercheremo di fare luce su quanto sta avvenendo a Molo Vespucci.
Non possiamo dimenticare anche la nomina di Vincenzo Conte presso la PAS. Siamo sicuri che l’ufficiale dei carabinieri avesse informato la commissione dei suoi “carichi pendenti”?
E’ vero che oggi alla PAS, almeno per un mese e mezzo, sono più forti. Già perché il super consulente grillino Umberto Saccone, in procinto di lasciare l’incarico alla PAS, non prima di aver sistemato le garitte che, con un colpo ben assestato di vento volano via con tanto di guardia al suo interno, potrebbe aspirare ad un posto da Sottosegretario alla Sicurezza Nazionale con Luigi Di Maio (che niente ha a che vedere con l’incapace, dal punto di vista manageriale, Francesco Maria).
Le dichiarazioni di Stefano D’Angelo dal minuto 25
Insomma, c’è un signore che da disoccupato in pochi mesi – in coincidenza, caso strano della nomina del suo caro amico alla presidenza dell’Autorità Portuale, nomina che lui ha contribuito a fargli ottenere “cospirando” per far fuori il presidente precedente – fa collezione di incarichi e consulenze, guarda caso tutti in ambito portuale.
E’ regolare tutto questo? Forse sarebbe il caso che qualcuno a Civitavecchia e non solo cominciasse a porsi questo tipo di domanda. Così come bisognerebbe iniziare a interrogarsi più attentamente sulla legittimità e validità di alcuni atti firmati dalla gestione Di Majo: dalla nomina a controllore dei dirigenti di chi meno di due anni prima aveva redatto alla Corte dei Conti una relazione sulla gestione dell’ente, utilizzata per non confermare Monti alla presidenza e poi nella sostanza smentita dalla relazione successiva; dal licenziamento dell’ammiraglio Nitrella, che è arrivato a denunciare per calunnia e diffamazione lo stesso Di Majo, ai decreti di fine anno con la firma dello stesso Di Majo che però in quei giorni era all’estero, in vacanza nell’adorata Austria, e quindi non avrebbe potuto firmare quelle carte in quelle date; fino alla vicenda aperta e più grave per l’ente: il rischio di default in seguito ad oltre un anno di inerzia completa del presidente dell’ente, che oggi più che mai appare completamente inadeguato a guidare un’amministrazione complessa e problematica come quella del porto di Civitavecchia. (4-segue)