ROMA – Ivan Magrì vive a Tarquinia, una delle capitali etrusche, come il suo mentore di un tempo, Giovanni Moscherini. Fu proprio Moscherini, a capo del porto di Civitavecchia a cavallo tra gli anni ’90 e i 2000, a portare Magri tra le banchine. Tra i due il rapporto fu di odio e amore, come del resto poi tutte le relazioni (politiche, si intende) del Magri, che è la mantide religiosa della politica civitonica: da Moscherini al suo nemico di sempre Pietro Tidei, fino all’ex sindaco Gino Saladini, il medico che rimase pochi mesi alla guida del Comune e che di Magrì era amico, prima di finire vittima della sua politica bipolare. L’ultimo della serie è il presidente dell’Autorità Portuale Francesco Maria Di Majo, inventato da Magri come anti-Monti (Pasqualino) per il porto di Civitavecchia e ora subbube del suo suggeritore. Che più che suggerire, sussurrano sui moli civitonici, ordina. E il guaio è che l’altro, che sarebbe presidente, obbedisce senza battere ciglio.
A Tarquinia, residenza del Magri, l’ex sindaco di centrodestra Alessandro Giulivi ha la sua storica azienda di elisoccorso. Lavora per il 118 nella Regione Lazio e non solo. Amico strettissimo di Francesco Storace, Giulivi nel settore è uno dei big in Italia.
Elitaliana S.p.a. è stata fondata nel 1964, e dopo varie vicissitudini rifondata sulla precedente FreeAir Helicopters. Per questo motivo i fratelli Alessandro e Giancarlo Giulivi, soci di Elitaliana e di Free Air Helicopter, sono stai denunciati dalla Guardia di Finanza per una evasione fiscale di 14 milioni di euro il 26 giugno 2009.
Nel 2012 è stata accusata dalla corte di giustizia Irlandese di non aver pagato le rate del leasing per l’acquisto di tre elicotteri EC135 T2, impiegati dalla stessa presso le basi di elisoccorso in Italia ed in Kosovo.
Dopo 5 anni, il Tribunale Penale di Roma Sezione VI^ e su richiesta del Pubblico Ministero, ha emesso la sentenza n. 9906 in data 10 giugno 2014 con la quale Elitaliana spa ed i fratelli Alessandro e Giancarlo Giulivi sono stati assolti con formula piena perché “il fatto non sussiste”.
Anche il contenzioso a suo tempo avanzato innanzi il Tribunale di Dublino tra Elitaliana S.p.A ed una società di leasing, si è concluso con un atto transattivo sottoscritto dalle parti innanzi la Camera Arbitrale di Dublino in data 22/3/2013.
Elitaliana S.p.a. ha iniziato le sue attività HEMS (Helicopter Emergency Medical Service) nel Lazio a partire dal 2001. Dal 1º luglio 2009 Elitaliana S.p.a. gestisce il servizio di Elisoccorso della Regione Lazio per conto dell’Ares 118. Il contratto, della durata di 9 anni, è stato assegnato a seguito di una gara europea ad evidenza pubblica indetta dall’Ares 118.
Dal 2000 Elitaliana S.p.a. gestisce in associazione temporanea di imprese (Ati) il servizio di Elisoccorso per la Regione Calabria, ed è attiva nelle basi di Lamezia Terme (con attività H24) e Cosenza.
Pilota di Elitaliana e genero di Giulivi è il figlio dell’ex generale dei Carabinieri ed ufficiale del Sisde Giancarlo Paoletti. Uno che conosce come pochi i retroscena di alcuni degli anni più bui della Repubblica. Uno che era in contatto con la Banda della Magliana e si è occupato dei fatti più inquietanti e controversi accaduti tra gli anni di piombo e i primi ’80.
IN CARCERE LE SPIE DEL SISDE
(LaRepubblica, 15 marzo 1995)
ROMA – Spie del Sisde con licenza d’ incontrare boss della malavita, il delitto di Mino Pecorelli, il ruolo dell’ ex senatore Claudio Vitalone. Ci sono tutti gli elementi dei più inquietanti gialli italiani dietro l’ arresto di Mario Fabbri, 55 anni, capo del reparto ispettivo del servizio segreto civile e di Giancarlo Paoletti, 46, direttore di divisione. Il giudice per le indagini preliminari di Perugia Aldo Materia li ha fatti arrestare dai carabinieri del Ros per “false attestazioni al pubblico ministero”. I due avrebbero negato al pm Fausto Cardella, che indaga sull’ omicidio del giornalista di “Op”, di aver più volte contattato, a partire dal ‘ 78, i capi della famosa banda della Magliana. E il sospetto è che gli arrestati potrebbero aver nascosto a fini ancora inconfessabili la vera natura di quel rapporto confidenziale. Un rapporto che, teoricamente, poteva considerarsi “lecito” per 007 del loro livello se i due non avessero negato anche appuntamenti in carcere con boss deceduti come Danilo Abbruciati, ucciso dopo l’ attentato fallito all’ ex vicepresidente dell’ Ambrosiano Roberto Rosone. Perché appellarsi al segreto sulle fonti riservate, quando queste fonti non ci sono più? Mario Fabbri, che era praticamente il capo degli ispettori interni del servizio, aveva diretto per anni uno dei centri Sisde più importanti. Anche per questo il presidente del comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, Massimo Brutti ha chiesto urgentemente alla procura di Perugia gli atti dell’ inchiesta. Il timore è, forse, quello che stia per aprirsi un nuovo scenario di “deviazioni” anche all’ interno del servizio civile, visto che il periodo d’ indagine riguarda la gestione del piduista Giulio Grassini. Ma per ora l’ indagine ha pochi e saldi presupposti. Furono tre pentiti della Magliana a parlare di vari contatti dei capibanda con il Sisde, sia in carcere che fuori. Contatti diventati intensissimi nel periodo dell’ omicidio del giornalista Pecorelli, marzo ‘ 79, e proseguiti anche durante gli anni ‘ 80. Gli investigatori della Dia e del Ros mostrarono le foto dei funzionari, interrogarono il direttore del carcere romano di Rebibbia, Maurizio Barbera (già indagato e poi prosciolto per favori alla Magliana) e trovarono la conferma che gli 007 entrati più volte nell’ istituto di pena alla fine degli anni ‘ 70 erano proprio i due arrestati. Uno dei tre pentiti, Vittorio Carnovale assicurò, tra l’ altro, che furono sempre uomini dei servizi ad averlo fatto evadere nell’ 86 dai sotterranei del tribunale di piazzale Clodio durante un processo. Un “debito di favori” con il senatore Claudio Vitalone, ipotizzarono i boss. Ma che c’ entra Vitalone con la banda della Magliana? E’ questo l’ interrogativo più inquietante al quale sta cercando di dare una risposta il pm Cardella. Tra i suoi indagati ci sono infatti proprio l’ ex senatore dc e il suo sponsor Giulio Andreotti nella veste di mandanti, l’ ex terrorista nero Massimo Carminati e il killer mafioso Michelangelo La Barbera come esecutori. Gli stessi collaboratori di giustizia hanno più volte riferito di incontri e rapporti tra Vitalone e i boss della Magliana. Vale per tutti il racconto di Fabiola Moretti, la compagna dei boss, prima di Abbruciati, (pure lui in contatto con i servizi) e poi del suo “erede” De Pedis. La donna disse di aver accompagnato personalmente in un ristorante il senatore per farlo incontrare con De Pedis. Fu sempre lei a indicare anche un terzo elemento di “contatto” con il Sisde. Un tizio chiamato “Angelo”, che proprio come dice il suo nome correva in aiuto ai vari boss in difficoltà per contraccambiare i vari favori che, si sospetta, il servizio doveva ai boss della Magliana. Ed ecco dunque altri interrogativi. Chi è il terzo spione? Che favori aveva fatto la banda al Sisde? E qui riaffiora il mistero sul ruolo di Vitalone, che anche un quarto boss pentito, Maurizio Abbatino, accusa di aver commissionato ai boss della Magliana l’ omicidio Pecorelli. Per ora, l’ unica cosa certa è che l’ indagine non finisce qui. Il magistrato si aspetta che qualcuno cominci a parlare. Magari proprio Fabbri, lo 007 che contattò Gaspare Mutolo quando non era ancora un pentito e al quale chiese una mano per liberare il generale Dozier avviando i suoi contatti dentro al carcere.
Scrive l’agenzia Ansa in un dispaccio del 13 luglio ’96:
Il Sisde dietro ad un tentativo di depistaggio delle indagini sull’omicidio del giornalista Mino Pecorelli? E’ l’ipotesi della procura di Perugia che, al termine di un processo durato sei mesi, tra segreti di Stato e qualche colpo di scena, ha chiesto la condanna (a due anni e nove mesi di reclusione) di due investigatori considerati i “fiori all’occhiello” del Servizio segreto civile: il questore Mario Fabbri, capo del “centro Roma 2”, ed il colonnello Giancarlo Paoletti, suo vice. Richiesta di condanna, ma ad una pena inferiore (due anni e tre mesi, con le generiche) anche per un collaboratore esterno del Servizio, Vittorio Faranda, ex sottufficiale alla Digos di Roma, finito a suo tempo nel mirino delle Br, che lo giudicarono però “impedinabile”. I tre sono accusati di false dichiarazioni al pm. Avrebbero mentito al magistrato di Perugia che li interrogava nell’ambito dell’inchiesta sul delitto Pecorelli, affermando di non aver mai avuto contatti od incontri, neppure in carcere, con Danilo Abbruciati, Ettore Marognoli, Renato De Pedis ed altri esponenti della banda della Magliana, l’organizzazione criminale che avrebbe avuto un ruolo importante nell’omicidio del direttore di “Op”.
Il movente dell’”inquietante mendacio” – come l’ha definito la procura – non è stato accertato: “forse un tentativo di coprire gli autori del delitto, forse non si volevano svelare ‘incoffessabili’ rapporti”. Sta di fatto che con queste false dichiarazioni – hanno detto i pm Cardella e Cannevale nella loro requisitoria – i tre imputati hanno rischiato di “compromettere gravemente” le indagini, incrinando l’attendibilità dei pentiti. Il riferimento è ai vari Mancini, Moretti e Abbatino, che con le loro dichiarazioni hanno contribuito al rinvio a giudizio dei sei presunti mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio Pecorelli e che, in più riprese, hanno parlato dei contatti tra esponenti della banda della Magliana e personale delle Istituzioni, le “guardie”. Tra queste – giurano i pentiti e sostengono i pm di Perugia, secondo cui “i collaboratori sono credibili” – vi erano proprio Faranda, Fabbri e Paoletti, il quale avrebbe avuto un incontro a Rebibbia con Abbruciati, il 9 aprile ’82, proprio il giorno in cui fu scarcerato e poco prima che venisse ammazzato, nell’ attentato a Roberto Rosone. Il boss della Magliana – che secondo i pm “collaborava” con il Sisde – ebbe un ruolo “rilevante” nell’omicidio del direttore di “Op”, riguardo al quale “sapeva tutto”. Ma quell’incontro Paoletti l’ha sempre negato. I difensori hanno sparato a zero sull’inchiesta, sui “gravi errori investigativi”, sulle “illecite pressioni sui pentiti, alcuni dei quali sono dei bugiardi di professione”. Il Sisde – ha detto l’ avv. Zazza – non c’entra con l’omicidio Pecorelli. Perché, invece, non si è indagato sul Sismi?”.
3 – SERVIZI SEGRETI/2 – MISSIONE PROMOZIONE…
Nell’ultima settimana, tre promozioni stanno facendo discutere le barbe finte italiane, alle prese con un’ondata di prepensionamenti. La prima è quella di Alberto Manenti a numero due dell’Aise, promozione che gli ha risparmiato l’uscita per limiti d’età. La seconda riguarda Marco Mancini, coinvolto nelle inchieste Telecom-Abu Omar e salvato dal segreto di Stato, a capocentro del servizio militare a Vienna.
Ma la più sorprendente coinvolge l’Aisi, dove l’ultrasessantenne Giancarlo Paoletti è stato promosso caporeparto. Paoletti fu travolto dall’inchiesta sulla banda della Magliana e accusato di false dichiarazioni ai pm sugli intrecci tra servizi segreti e criminalità. Salvato dalla prescrizione, è stato ripescato grazie alla legge Carnevale sul reintegro dei prosciolti. Il rientro è legittimo, la promozione appare invece discrezionale.
F. B. DagospiaB.A.
Paoletti viene individuato per amministrare la PAS, società di sicurezza del porto di Civitavecchia. Di Majo lo nomina, ma lui a sorpresa ringrazia e rifiuta l’incarico. Al suo posto arriva un altro ex dei servizi, un altro generale proveniente dall’Arma, ma soprattutto dal Sismi e dall’Eni, dove è stato direttore della security (insomma quasi un plenipotenziario governativo in alcuni paesi dove le aziende italiane come Eni, appunto, o Finmeccanica, svolgono un ruolo strategico).
Il dubbio è legittimo: cosa viene a fare uno con il curriculum del generale Saccone alla società delle guardie giurate del porto di Civitavecchia, per di più, a pochi spiccioli di rimborsi, per via della legge Madia che limita tempo e compensi degli incarichi ai pensionati?
Oggi Saccone è in vista della scadenza del suo mandato, ma è chiaro che il suo compito era quello di “fare pulizia” (ha licenziato in tronco l’ammiraglio Fedele Nitrella, ex comandante del Porto, che poi ha denunciato il presidente dell’Autorità Portuale Di Majo, accusandolo di calunnia e diffamazione nei suoi confronti) e di cercare di “entrare” nella sicurezza dell’Authority, dove nel mirino di Di Majo e Magri è finito il direttore, ex ufficiale dei Carabinieri anche lui, Massimo Scolamacchia, oggi sotto procedimento disciplinare e, a quanto pare, sotto inchiesta della Procura della Repubblica di Civitavecchia, in seguito a quanto trasmesso per le opportune valutazioni proprio da Saccone.
Nel frattempo la società partecipata dall’Autorità annaspa finanziariamente, ma Saccone programma spese importanti e al posto di Nitrella ingaggia – con una procedura non certo molto trasparente (non ce n’è traccia preventiva né su quotidiani né sullo stesso sito dell’ente, che parla solo dell’affidamento dell’incarico) – un altro colonnello dei Carabinieri, anche lui con incarichi presso la Presidenza del Consiglio (si occupa ufficialmente della destinazione dell’otto per mille per la fame nel mondo), ossia anche lui proveniente dal mondo di Paoletti e Saccone: il colonnello Vincenzo Conte.
Non è ancora stato pubblicato il curriculum del dottor Vincenzo Conte sul sito dell’ente e della PAS ma sui siti online se ne trovano a bizzeffe come si può trovare anche il suo decreto di nomina presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri che scadrà nel 2019.
Non c’è che dire. Un incarico di tutto rispetto, come quello ottenuto sempre all’inizio di quest’anno di Presidente della Commissione per la valutazione tecnica degli interventi presentati ai fini dell’ammissione alla ripartizione della quota dell’otto per mille dell’IRPEF devoluta alla diretta gestione statale per l’anno 2017, relativi alla categoria “FAME NEL MONDO“.
E’ stato nel 2017 anche Presidente della Commissione per la valutazione tecnica degli interventi, ai fini dell’ammissione alla ripartizione della quota dell’otto per mille dell’IRPEF devoluta alla diretta gestione statale per l’anno 2016, rientranti nella tipologia “Conservazione dei beni culturali”.
Non dimentichiamoci poi l’incarico di amministratore delegato di Lazio Ambiente dove, nel 2014, è finito nel mirino della Procura di Roma.
Lazio Ambiente è la società a socio unico della Regione Lazio che gestiva la discarica di Colle Fagiolara e che fu oggetto di ordinato dal Gip di Roma Massimo Battistini.
Furono emessi due avvisi di garanzia agli indagati e cioè Vincenzo Conte Legale Rappresentante di Lazio Ambiente Spa e EzioPigliacelli, di Veroli in qualità di presidente del Consiglio di Amministrazione della Autotrasporti Pigliacelli S.p.A.
“In concorso tra loro e con attività continuative organizzate, senza autorizzazione (abusivamente) effettuavano all’interno del sito di discarica RU di Colleferro, Località Colle Fagiolara, una operazione di “trasferenza” dei rifiuti avanti CER 200301, i cui ingenti quantitativi non risultano tracciati sul registro di carico e scarico della società medesima, per poi inviarli a trattamento”. I reati sarebbero stati commessi fino al settembre 2014.
Il 20 aprile dello scorso anno, il pubblico ministero che ereditò l’inchiesta, Alberto Galati, inviò il 415 Bis agli indagati.
Traffico illecito di rifiuti. Per questa accusa la Procura di Roma ha chiesto il processo di 4 persone coinvolte in un’inchiesta su un abusivo scarico di rifiuti nella discarica di Colleferro, in località Colle Fagiolara.
In particolare il pm Alberto Galanti chiede il rinvio a giudizio di Vincenzo Conte, legale rappresentante della “Lazio Ambiente spa” società che gestisce la discarica;Ezio Pigliacelli, presidente del Cda della “Autrotrasporti Pigliacelli spa”; Domenico Spaziani Testa, amministratore della società M.Eco.Ri.S con sede a Frosinone; e Raffaele Forgione, legale rappresentante della società “Isotras” con sede a Fiumicino.
Secondo l’accusa, nella discarica, dal settembre al dicembre 2014, ci sarebbe stata un’operazione di “trasferenza” di rifiuti indifferenziati, non tracciati sul registro di carico e scarico, per essere poi avviati al trattamento ad Aprilia, pressi gli impianti della società “Rida Ambiente”. E ciò, secondo quanto accertato dal pmGalanti, al fine di conseguire un ingiusto profitto consistente nel proseguire l’attività di ricezione dei rifiuti solido urbani senza passare prima per il trattamento presso uno stabilimento a ciò autorizzato ad una tariffa più alta rispetto a quella praticata da “Rida Ambiente” con corrispondente danno per la Regione Lazio, che si assumeva l’onere economico della differenza.
Chissà se di questa cosa l’ufficiale dei carabinieri aveva dato notizia alla Commissione o al suo ex collega dell’Arma generale Umberto Saccone in questi giorni in piena campagna elettorale per il Movimento 5 Stelle.
Saccone intanto, come confermato a Matrix anche da uno come Luigi Bisignani, che parla di rado, ma quando lo fa non sbaglia mai, è entrato nellacabina di regia del M5S, curandone il programma di governo sulla sicurezza, come risulta anche a Formiche.net.
In questi giorni il Movimento 5 Stelle sta definendo, sulla piattaforma Rousseau, i dettagli del suo programma, sottoponendo agli iscritti i principali temi che ne costituiranno l’ossatura. Fra essi, spicca l’intelligence, su cui, sul blog del M5S, sono stati pubblicati cinque post. Il primo, “Sicurezza partecipata”, porta la firma di Umberto Saccone. Il secondo, “Sicurezza e spazio cibernetico, è di Pierluigi Paganini. Il terzo “La riorganizzazione delle forze dell’ordine” di Stefano Gambacurta. Il quarto, “Sicurezza e libertà” di Renato Scalia. E infine il quinto, “Il futuro della polizia locale”, di Diego Porta.
Sono loro gli esperti che hanno definito le proposte di programma del M5S per quanto concerne intelligence e sicurezza. Ma chi sono? Non proprio dei “signori nessuno”. Da quanto emerge dando una scorsa ai loro curriculum, ci si rende conto che la gran parte degli esperti ospitati dal blog grillino vanta una lunga carriera all’interno delle Istituzioni, talvolta con incarichi svolti a stretto contatto con i governi passati.
UMBERTO SACCONE, DALL’ARMA ALL’ENI
Come si evince dal suo profilo Linkedin, Umberto Saccone ha iniziato la sua lunga carriera con l’Arma dei Carabinieri nel 1974, per poi passare al Sismi, dove ha lavorato, fra Roma, Parigi e Riad, in Arabia Saudita, come analista e poi come dirigente nell’ambito della divisione di controspionaggio. Da giugno 2006 a gennaio 2015 è stato direttore della Security dell’Eni. “In Eni ha realizzato e sviluppato un metodo di Risk Assessment per la sicurezza delle istallazioni industriali – si legge sempre su Linkedin – Saccone ha altresì concepito, disegnato e sviluppato la sala crisi dell’ENI, nel cui ambito risiede un sistema di comando e controllo per una risposta alle crisi negli ottanta Paesi dove la società petrolifera è presente. Con successo ha promosso e implementato un fattivo e fruttuoso partenariato con strutture governative quali il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS), l’Aeronautica Militare, il Comando Operativo di vertice Interforze (COI), la Marina Militare e la Polizia di Stato”. Attualmente ricopre la carica di presidente della società di consulenza Grade, da lui fondata nel 2014, che si occupa di intelligence. Inoltre ad aprile 2017 è stato nominato (con strascichi polemici) presidente della Port Authority Security srl di Civitavecchia, società pubblica soggetta al controllo dell’Autorità del sistema portuale del Mar Tirreno centro settentrionale. Dal 2016 è anche presidente della Mi.G srl, società che produce mezzi blindati.
Nonostante le divisioni interne sulla legge elettorale, le manovre di avvicinamento al governo del Movimento 5 Stelle passano anche per la questione della «sicurezza», tema che da queste parti ha sempre rappresentato un elemento identitario. Non è un caso che l’attivismo di questi mesi di Davide Casaleggio e di alcuni maggiorenti grillini presso aziende e organizzazioni di categoria, abbia un precedente proprio nel ciclo di incontri che Luigi Di Maio e Gianroberto Casaleggio tennero con funzionari di polizia e sindacati delle forze dell’ordine.
Della materia, inoltre, si occupa dall’inizio della legislatura il parlamentare salernitano Angelo Tofalo. Ingegnere idraulico con la passione del calcio, Tofalo è arrivato alla Camera e poi finito nel Copasir. Di recente è stato oggetto di accuse per essersi fidato di una donna finita sotto processo per traffico d’armi: era uno dei suoi contatti per le complicate faccende libiche.
Adesso la sicurezza arriva alla piattaforma Rousseau, dalla quale sono state poste le consuete domande (da accogliere o rigettare) agli utenti iscritti. Al di là dei temi specifici, ciò che pare interessante in termini di relazioni privilegiate e indice di attenzione verso determinati mondi, si trova nella serie di contributi che il blog di Grillo ha ospitato per istruire gli iscritti. Un intervento intitolato «La sicurezza partecipata» porta la firma di Umberto Saccone, che dopo una lunga carriera nei Carabinieri e nel Sismi è stato direttore della Security dell’Eni. Saccone cita come esempio di «sicurezza partecipata» la città di Los Angeles, non esattamente un posto tranquillissimo: «A Los Angeles, modello di smart city, i dati che arrivano dai vari dipartimenti, dal trasporto pubblico alla polizia fino alla raccolta di rifiuti e ai vigili del fuoco, sono in un solo luogo», spiega. La gestione efficiente dei servizi, sostiene ancora Saccone, è data dall’analisi aggregata dei dati: «questo accade anche nei progetti di crime mapping, in cui le amministrazioni locali svolgono un’opera di vera e propria mappatura del crimine, in modo da analizzare e identificare le zone urbane maggiormente a rischio, al fine di prevenire fenomeni di criminalità attraverso l’adozione di misure di sicurezza». Dove starebbe la «partecipazione»?
L’idea di Saccone ricorda un po’ le ronde di cittadini: si propongono «modelli di monitoraggio informale e coordinato del territorio, ad esempio attraverso corsi finalizzati a fornire una formazione adeguata ai privati, anche grazie all’aiuto di ex poliziotti o ex carabinieri». C’è spazio poi per la privatizzazione della sicurezza. «Da un lato i tagli alla spesa pubblica inducono le amministrazioni centrali e locali a contrarre i servizi prestati ai cittadini e a esternalizzare alcune funzioni – spiega ancora Saccone -, dall’altro lato cresce la domanda di sicurezza privata presso le aziende e il terziario».
Sul blog, più di 8mila utenti (su 20mila votanti e oltre 100mila iscritti) attribuiscono alla «sicurezza partecipata» il compito di «disciplinare forme di cooperazione tra pubblico e privato nello scambio di dati informatici». Una domanda formulata in modo un po’ capzioso chiedeva di scegliere tra garanzia della sicurezza e tutela della privacy. Ha vinto la prima opzione, con 12mila voti contro 7 mila. Del resto, era stato chiamato l’ex ispettore capo Renato Scalia ad avvisare del pericolo che la privacy possa essere utilizzata «come grimaldello» per mettere vincoli alla videosorveglianza e alle intercettazioni. Gli iscritti hanno approvato anche la proposta di accorpamento totale di tutte le forze di polizia. Quanto alle sorti della polizia locale, si è arrivati a una gaffe istituzionale: a spiegare il quesito sull’allargamento del raggio d’azione alle zone metropolitane è arrivato Diego Porta, il capo dei «pizzardoni» romani.
E’ questo gruppo di ex ufficiali dell’intelligence che oggi pare avere un peso più che rilevante nelle scelte e nelle strategie per il porto e non solo. E forse non sono coincidenze che attorno agli interessi del porto ruotino mondi che Saccone in particolare conosce benissimo.
Di Majo, dal suo arrivo a Civitavecchia, insiste per la riconversione green del porto con il gas naturale liquefatto. Niene più elettricità per le banchine, ma gas. E quando si parla di gas, in Italia e non solo, si parla di Eni.
Un altro business nel mirino dei generali è quello della security, certo, ma non della sgangherata Pas: l’obiettivo è la security portuale, vicina anche essa ai servizi, e soprattutto quella delle navi da crociera, ad oggi terreno quasi esclusivo degli israeliani.
Infine, c’è il real estate, l’immobiliare. Con il maxi affare di Fiumaretta. Poco importa che sia un’area comunale. Ivan Magri (e a livello molto più alto Saccone) ha agganci anche con i grillini, che nel frattempo stanno costituendo un fondo immobiliare, affidato alla SGR di Paolo Scaroni, ex amministratore delegato dell’Eni che, come ricorda La Repubblica, chiamo sotto la bandiera del cane a sei zampe proprio Saccone:
Proprio le funzioni di staff furono lo strumento con cui Paolo Scaroni impresse il suo stile manageriale nei nove anni all’Eni. In arrivo dall’Enel nel 2005, il dirigente vicentino di formazione Mc Kinsey e senza esperienza nel comparto da subito aveva scelto un pugno di collaboratori molto stretti, quasi tutti esterni, e ne li aveva incaricati delle funzioni di staff, a formare un’intercapedine sopra l’azienda reale. Da Enel arrivatò il capo del personale e oggi direttore operativo Salvatore Sardo, da Intesa Sanpaolo il capo delle relazioni esterne Stefano Lucchini, da Enel il capo dei contratti in Russia e ora del Midstream Marco Alverà, da Enel l’assistente esecutivo ventennale di Scaroni, Raffaella Leone, dai servizi segreti il capo della sicurezza Umberto Saccone.
E’ proprio su questi tavoli che Ivan Magri sta giocando le “sue” partite, in nome e per conto del presidente, dopo non essere riuscito a diventarne il capo staff. Partite spregiudicate, che rischiano seriamente di condizionare il futuro suo e di chi ha contribuito a portare alla guida di Scalo Vespucci. Dell’operato di questa strana coppia, infatti, dopo le ultime vicende finite in Procura, si sono accesi i riflettori di diversi uffici, visti gli intrecci che si dipanano tutti dallo sherpa Magri, nelle direzioni più impensate. (3-Segue)